Le vie invisibili Capitolo 1 – Preludio e rivoluzione

La scoperta della Norvegia in bicicletta, 1983. 70 giorni per monti, fiordi e foreste.

Fui accolto dalla luce e dal profumo, la prima volta che arrivai nelle terre a nord, una sera di metà luglio del 1983.

Già sul ponte della nave, e con più forza mentre pedalavamo lungo le prime strade in cerca di una baia disabitata dove pernottare, sentii che con quella terra sarei stato in sintonia come con nessun’altra.

Puntammo verso nord zigzagando tra le montagne e gli altopiani. Stupore e meraviglia ci accompagnavano a ogni svolta delle strade tranquille, pochissimo trafficate.

La caratteristica del nostro viaggio fu che alternavamo l’avanzare verso nord in bicicletta all’inoltrarci a piedi sulle montagne e sugli altopiani, per familiarizzare con ogni ambiente

I boschi di pino silvestre, abete e betulla, tappezzati di felci e mirtillo, ogni sera accoglievano la nostra tenda.

Nascondevamo e legavamo nel bosco le bici; zaino in spalla andavamo alla scoperta di nuovi scenari, tornando alla strada dopo un giorno o due.

Portavamo con noi una quantità di materiale davvero notevole per un giro ciclistico: non mancavano corda, piccozza, ramponi e scarponi pesanti per andare sui ghiacciai

In quel contorno naturale scorgevamo spazio infinito per i nostri sogni. Intorno ai sentieri restavano spazi immensi selvatici, dove inventare i percorsi con la semplice lettura delle forme naturali.

Conoscemmo gli incredibili altopiani costellati di monti e laghi estesi da un’orizzonte all’altro, come l’Hardangervidda.

Conoscemmo le fortezze di pietra dei monti Rondane.

Scoprimmo la taiga e la tundra della Terra dei Sami nell’estremo Nord e il vagare delle mandrie di renne.

Le foreste di betulle, il sottobosco e le basse pianticelle della tundra si accesero di colori rossi e giallobruni in mille gradazioni.

A fine agosto arrivò l’autunno nordico e tornò la notte, assieme alle stelle e alle aurore boreali.

Nelle atmosfere rarefatte e colme di una universale nostalgia per ciò che stava passando, una sera di settembre, dopo 3400 chilometri, giungemmo a Capo Nord, sull’isola Magerøya.

La mattina dopo camminammo fino al vero culmine settentrionale dell’isola, la penisola di Knivsjelodden, una bassa lingua di roccia protesa nel Mare Artico.

Il corpo si rifiutava di tornare indietro; la nostalgia per ciò che stavamo lasciando sembrava debilitarci